Il titolo della seconda raccolta poetica di Sereni, che è anche quello di una specifica sezione dell’opera, si riferisce alle occasioni di composizione dei testi qui riuniti, legati al periodo della guerra e della prigionia in Africa tra il ’42 e il ‘45, come lo stesso autore spiega nella nota iniziale alla prima edizione. Il carattere di diario è accentuato dalla presenza, nella maggior parte delle liriche, dell’indicazione in calce del luogo e della data di composizione, che permettono al lettore di seguire l’inconcludente itinerario che caratterizza l’esperienza bellica del poeta: il primo trasferimento in Grecia dopo il periodo di ferma a Bologna, il ritorno in Italia e l’invio in Sicilia, fino alla cattura e alla prigionia vera e propria in diversi campi di concentramento tra Algeria e Marocco francese. La prima edizione di Diario d’Algeria esce presso Vallecchi nel ’47 e presenta 24 testi senza titolo, suddivisi in quattro sezioni (La ragazza di Atene, Diario d’Algeria, Vecchi versi a Proserpina, Ma se tu manchi). Nel ’65, in concomitanza con l’uscita della sua terza raccolta, Gli strumenti umani, Sereni pubblica presso Mondadori una seconda edizione di Diario d’Algeria, che, così come avverrà l’anno seguente per Frontiera, presenta notevoli modifiche non tanto a livello di varianti testuali delle singole liriche, ma a livello di struttura: scompaiono infatti le ultime due sezioni (Vecchi versi a Proserpina andrà poi a costituire una sezione autonoma di Frontiera), che vengono sostituite da un’unica nuova sezione intitolata Il male d’Africa, con alcune poesie intervallate da prose composte dopo il ritorno dalla guerra, ma che sono riflesso di quell’esperienza. Vengono inoltre aggiunti alcuni testi, altri (Pin up girl) vengono ridotti, mentre la poesia finale, Via Scarlatti, viene spostata all’inizio degli Strumenti Umani, di cui l’autore avverte faccia parte dal punto di vista stilistico e tematico. Nel complesso dunque l’edizione definitiva del ’65 è composta da 32 testi, distribuiti in tre sezioni: I. La ragazza di Atene (10 testi: Periferia 1940; Città di notte; Diario bolognese; Belgrado; Italiano in Grecia; Dimitrios; La ragazza d’Atene; Risalendo l’Arno da Pisa; Villa Paradiso; Pin-up girl). II. Diario d’Algeria (13 testi senza titolo eccetto l’ultimo: Lassù dove di torre; Un improvviso vuoto del cuore; Rinascono la valentia; Non sa più nulla, è alto sulle ali; Ahimè come ritorna; Non sanno d’esser morti; Sola vera è l’estate e questa sua; E ancora in sogno d’una tenda s’agita; Spesso per viottoli tortuosi; Troppo il tempo ha tardato; Se la febbre di te più non mi porta; Nel bicchiere di frodo; Algeria). III. Il male d’Africa (9 testi: Frammenti di una sconfitta, composto di tre poesie intervallate da due prose; Il male d’Africa, diviso in due tempi; la prosa Appunti da un sogno; L’otto settembre ‘43/’63). Le sezioni sono disposte in modo tale da dare particolare rilievo a quella centrale, incorniciata dalle altre due, che ne riportano in qualche modo gli antefatti e poi la rievocazione nella memoria. Nella prima sezione seguiamo infatti gli spostamenti del poeta, dall’addio a una spettrale Milano (Periferia 1940 e Città di notte) alle cupe atmosfere invernali di Bologna nel ‘42 (Diario bolognese), poi attraverso la penisola balcanica (Belgrado) fino in Grecia (Italiano in Grecia, Dimitrios, La ragazza di Atene) e, di nuovo in Italia, in Sicilia (Villa Paradiso, Pin up girl): sono le tappe di un itinerario inutile e assurdo, in cui il vero contatto con il campo di battaglia e l’azione sono continuamente rimandati, e che con la sua stessa natura sembra confermare l’assurdità di una guerra che il poeta non sente e non comprende, ancora assorto nei miti giovanili e incapace di vedere negli altri europei dei nemici (‘Europa Europa che mi guardi / scendere inerme e assorto in un mio / esile mito tra le schiere dei bruti/ sono un tuo figlio in fuga che non sa / altro nemico se non la propria tristezza’ in Italiano in Grecia). Dal punto di vista stilistico questa sezione non presenta rotture vistose con gli ultimi esiti di Frontiera: il dettato è formalmente sostenuto, grazie anche alla metrica che fa uso frequente delle misure classiche dell’endecasillabo e del settenario, il linguaggio è essenziale e selettivo, la sintassi compatta e precisa nel delineare eventi e situazioni, viene costantemente ricercata una notevole concretezza figurativa degli elementi del paesaggio. Rispetto a Frontiera l’atmosfera è però più cupa e opprimente e quelli che nelle liriche giovanili erano solo brevi lampi di inquietudine hanno ora assunto la forma più precisa dell’angoscia legata al dramma storico e collettivo della guerra. Nella sezione centrale, all’interno di un dettato ancora formalmente alto, si inseriscono invece nuovi elementi di dissonanza come cambi di ritmo, versi con andamento prosastico che eccedono le misure metriche classiche («il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna», Non sa più nulla, è alto sulle ali), una sintassi ora complessa, con iperbati e anastrofi, ora costruita per accumulo («tra cortesi comitive | di disperati meno disperati |più disperati, E ancora in sogno d’una tenda s’agita, «strade fontane piazze | un giorno corse a volo», Se la febbre di te più non mi porta). La stessa forma, insieme a scelte lessicali che suggeriscono l’idea di vuoto e immobilità, sembra quindi sottolineare la condizione del poeta, isolato e segregato nel limbo di una prigionia, che pur non comportando sofferenze fisiche, anzi costituendo quasi un guscio protettivo, lascia in realtà profonde cicatrici psicologiche («Non sanno d’esser morti | i morti come noi, Non sanno d’essere morti, «Ora ogni fronda è muta | compatto il guscio d’oblio | perfetto il cerchio», Sola vera è l’estate e questa sua). Gli elementi di dissonanza si fanno ancora più evidenti nella terza sezione, dove l’andamento prosastico già osservabile in embrione nelle liriche della sezione precedente diventa una vera e propria alternanza tra versi e brani in prosa: il ricordo e il sogno riportano frammenti dell’alienante esperienza della «guerra girata altrove» (L’Otto settembre ‘43/’63), a cui l’autore si sforza di dare forma con strumenti linguistici nuovi, preparando così la strada agli esiti poetici più maturi degli Strumenti Umani. Edizioni: Diario d’Algeria, Vallecchi, Firenze, 1947. Diario d’Algeria, nuova edizione, Mondadori, Milano, 1965 («Lo Specchio», Mondadori, Milano, 1979; «Oscar Classici Moderni», Mondadori, Milano, 1996; «Collezione di poesia», Einaudi, Torino, 1998, con prefazione di Giovanni Raboni). Tutte le poesie, a cura di M. T. Sereni, con prefazione di D. Isella, «Lo Specchio» Mondadori, Milano, 1986. Poesie, a cura di D. Isella, «I Meridiani», Mondadori Editore, Milano, 1995 (edizione critica, ristampe: 1996, 1999, 2000, 2004, 2007). Poesie e prose, a cura di Giulia Raboni, con un saggio introduttivo di P. V. Mengaldo, Oscar Mondadori, Milano, 2013. Frontiera, Diario d’Algeria, a cura di G. Fioroni, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda Editore, Milano, 2013 (edizione commentata). Riferimenti: Umberto Saba, Diario d’Algeria, in Id. Tutte le prose, a cura di A. Stara, con un saggio introduttivo di M. Lavagetto, Mondadori, Milano, 2001. Pier Vincenzo Mengaldo, Note sul Diario d’Algeria, in Id. Per Vittorio Sereni, Aragno, Torino, 2013. Francesca D’Alessandro, L’opera poetica di Vittorio Sereni, Vita&Pensiero, Milano, 2001. Fioroni, Georgia. Attorno a due poesie nate a Sidi-Chami: "Troppo il tempo ha tardato" e "Se la febbre di te più non mi porta", “Per leggere”, 2013, n. 25, pp. 17-32. Laura Neri, Le forme del tempo nel Diario d’Algeria, in E. Esposito (a cura di), Vittorio Sereni, un altro compleanno. Atti di convegno, Milano - Luino, 24-26 ottobre 2013, Ledizioni, Milano, 2014: pp. 115-125 [consultabile on line: http://books.openedition.org/ledizioni/718]. Edoardo Esposito, Lettura della poesia di Sereni, Mimesis, Milano-Udine, 2015.